In queste ore al Cairo, dove sono arrivati ieri gli
inquirenti italiani che indagano sulla morte di Giulio Regeni, sono iniziate le
operazioni di recupero dei video delle telecamere di sorveglianza della
metropolitana su cui è salito il ricercatore friulano la sera in cui venne
rapito, il 25 gennaio del 2016.
A effettuare il recupero delle immagini è un team russo che
ha sviluppato un software specifico per ripristinare file video sovrascritti,
come avvenuto per quelli registrati il giorno della scomparsa di Regeni. Questo
intervento permetterà l'acquisizione di un'enorme quantità di dati, circa 108
terabyte che saranno poi analizzati dagli esperti dei due pool investigativi
dei due paesi.
Come chiesto dalla procura di Roma, le immagini estrapolate
non riguarderanno solo il tratto compreso tra le stazioni Dokki, nel quartiere
dove Giulio viveva e da dove fece l'ultima chiamata prima del sequestro, e El
Bohoth, dove era diretto la sera del sequestro, ma l'intero percorso della
linea 2 della metro, in un orario compreso tra le 19 e le 21. Ci vorranno 12
giorni per recuperare i video, che saranno consegnati al procuratore Sergio
Colaiocco che sta portando avanti l'inchiesta a Roma. L'operazione, si spera,
potrebbe esere utile a chiarire i "buchi" che fino a oggi hanno
condizionato, limitato, l'indagine.
L'obiettivo della Procura capitolina è passare al setaccio
le immagini per evidenziare l'eventuale presenza, in quel lasso di tempo, di
qualcuno dei nove agenti della National Security coinvolti nell'inchiesta
legata alla morte del ricercatore.
Sempre se i video delle telecamere di sorveglianza non siano
stati manomessi. Il dubbio è legittimo visti i precedenti con gli inquirenti
egiziani, compresi i tentativi di depistaggio e di intimidazione attraverso
l'arresto di consulenti della famiglia Regeni e di attivisti impegnati sul
caso. Come è avvenuto l'11 maggio, quando Mohamed Lotfy, fondatore della
Commissione egiziana per i diritti e la libertà (Ecrf) è stato arrestato
insieme alla moglie Amal Fathy e portati in carcere insieme al figlio di 3
anni. Lofty dopo alcune ore, avendo doppia nazionalità, egiziana e svizzera, è
stato rilasciato con il bambino mentre Amal è stata trattenuta per aver
pubblicato un video contro le molestie sessuali su Facebook.
Nelle immagini postate, Fathi criticava il sistema egiziano
e le istituzioni nazionali ree di consentire violazioni dei diritti delle
donne. Le accuse erano rivolte soprattutto ai servizi di sicurezza e alla banca
Misr, dove racconta di aver avuto problemi.
Ma ciò che più pesa su questa giovane e coraggiosa attivista
è l'essere la moglie di un consulente della famiglia Regeni. La mamma di
Giulio, Paola Deffendi, ha avuto per lei parole di profonda preoccupazione e
costernazione. Si è detta "molto inquieta" per il suo arresto, una
donna innocente,madre di un bambino di tre anni. E nel giorno della Festa della
mamma, oltre a ricordare il dolore di Paola, che ha perso un figlio nel modo
più atroce possibile, vogliamo sostenere più che mai questa nuova battaglia di
verità e giustizia.
"Ciò che è accaduto vuol dire che siamo molto vicini
alla verità. Ma la verità non può essere pericolosa per chi la cerca" ha
detto nel corso dell'incontro promosso dall'Associazione amico di Roberto
Morrione dedicato a Giulio che si è svolto al Salone del libro di Torino nel
giorno dell'apertura della Fiera al quale hanno partecipato anche Claudio
Regeni, l'avvocato Ballerini e Beppe Giulietti, presidente della Federazione
nazionale della stampa italiana.
"Sarei preoccupata per chiunque -ha aggiunto- e lo sono
ancora di più per una donna, sapendo quello che possono farle."
Amal è accusata di terrorismo, un reato che in Egitto può
portare all'ergastolo e alla pena di morte. Arrestata con il marito e il
figlio, poi rilasciati perché hanno la doppia cittadinanza, egiziana e
svizzera, è ora rinchiusa nel carcere femminile del Cairo.
Per Amal, per continuare a sostenere la campagna di verità e
giustizia per Giulio Regeni, ho raccolto da mamma. Da donna, da giornalista,
l'appello di Paola che ha chiesto di affiancarla nello sciopero della fame per
chiedere la sua liberazione. I primi a rispondere, i ragazzi del collettivo
Giulio Siamo Noi, che quotidianamente ricordano Giulio.
Noi operatori dell'informazione abbiamo, invece, il dovere
di restare vigili e raccontare quanto avvenga in Egitto. Attraverso questo
blog, intanto, la sottoscritta continuerà a fare pressione affinché anche le
istituzioni italiane si facciano carico del caso e si impegnino affinché venga
restituita la libertà a Amal Fathy.
Siamo tutti chiamati a animare una scorta mediatica per
questa ennesima vittima del sistema giudiziario e di sicurezza egiziano. Come
per Shawkan e per i Giulio d'Egitto che non conosciamo.
Antonella
Napoli